Autorialità, ultimo avamposto di resistenza per il fotografo

Il fotografo ha un suo linguaggio e una propria narrativa.

Questa è la differenza con chi fa semplicemente foto.

Parto da questa mia frase per introdurre questo pezzo che sento di dover scrivere. Viviamo una fase di passaggio che sta riversando l’intelligenza artificiale nelle nostre viste, volenti o nolenti. Mentre ci sono applicazioni della IA che possono essere di aiuto e, dunque, non siamo ottusi e non gridiamo alla diavoleria, certamente la fotografia potrà risentirne in maniera critica, al punto da spazzare via, di colpo, molte certezze (per chi ne aveva) su come si creano immagini.

Se già assistiamo a concorsi dove non si riconosce più la differenza tra immagine generata e fotografia e, perfino, viceversa, a quanto pare come accaduto in un recente concorso, allora comprendiamo come siamo all’alba di una guerra che sarà soprattutto guerra di comprensione e di credibilità. In crisi, come avevo predetto, sarà soprattutto la notizia. che già soffre terribilmente, fiaccata com’è da pseudo-giornalisti che litigano con la lingua madre e scrivono articoletti di una idiozia immensa, palesando ignoranza nel mentre che osservano una narrativa imposta dai grandi consorzi internazionali, tipo la mafia farmaceutica, la più grande mafia esistente al mondo, altro che ndrangheta.

Efrem Raimondi ebbe la vista lunga quando affermava che la fotografia ha un presente e futuro solo nell’autorialità. La fotografia di genere è già un anacronismo che rievoca le riviste di fotografia che tra una fotocamera e l’altra, di tanto in tanto, ci sbattono un articoletto che ci spiega cos’è la street photography piuttosto che la fotografia di paesaggio. E, del resto, chi deve investire su un fotografo, cosa sempre più rara ma che ancora esiste e, mi azzardo a dire, resisterà in futuro, lo fa puntando alla voce unica, personale, su chi ha qualcosa davvero da dire a modo suo.

Se adesso vediamo al mondo delle gallerie d’arte la fotografia è in una fase che viene mischiata in stile cross-over con altre arti, a volte potenziata, altre diluita, spesso imbrattata. Ma si tratta, mia opinione, di una fase. Non è che appiccicare cose sulle foto esprima chissà quale novità. Ma questo è al momento per un certo mondo di performer.

La fotografia, intesa come modo di concepire esistenza, ci sarà sempre, in un modo o nell’altro, ma appunto come Efrem vedo più nel fotografo-autore una dimensione stabile (per quanto possa essere stabile l’attività e l’azione di un fotografo) rispetto a chi resta ancorato a certe dinamiche e settorializzazioni.

Ecco, credo che da qui possiamo (ri)partire per iniziare a comprendere dove stiamo realmente andando.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.